Giorno 3: in viaggio verso Alcatraz


La sveglia suona alle 7:30: è il nostro ultimo giorno a San Francisco e il nostro primo pensiero va al pomeriggio, quando ritireremo l'auto e affronteremo per la prima volta le highway americane, portando il contachilometri a quota 300, per l'inizio di un viaggio che ci porterà oltre i 4.000. Ma prima di lasciarci alle spalle la città e buttarci sulle lunghe, dritte e indimenticabili strade degli States, su cui tanto abbiamo fantasticato, dobbiamo ancora fare due cose importanti: la visita di Alcatraz e il ritorno al Golden Gate Bridge. Anche oggi facciamo colazione allo Starbucks di fronte al nostro hotel, locale di cui apprezziamo, oltre a caramel macchiato e brioche, quel mix di atmosfera distesa ed informale ma allo stesso tempo curata, che fa sì che un probabile uomo d'affari si sieda allo stesso tavolo di una giovane studentessa e consumino insieme la colazione, lui lavorando al portatile, lei leggendo una rivista giovanile. Terminata la colazione, ci rechiamo alla vicina fermata del pullman e in mezz’oretta raggiungiamo il Pier 33, da dove partiremo alla volta dell’isola.

Il tempo è ideale per la visita all'isola prigione

Abbiamo comprato i biglietti del tour in Italia, con qualche mese d'anticipo, così possiamo dirigerci direttamente all'imbarco: prima di salire sul traghetto ci viene fatta una foto ricordo davanti a uno sfondo verde, su cui digitalmente verrà piazzato un profilo dell'isola per un effetto molto realistico. Una volta a bordo raggiungiamo il terrazzo al secondo piano: si parte. L'isola è davanti a noi, all'orizzonte, volgendo lo sguardo verso sinistra possiamo apprezzare in tutta la sua lunghezza il Golden Gate Bridge, le cui torri sono già avvolte dalla nebbia. Il sole di ieri è un ricordo, il cielo di oggi, coperto da nubi pesanti, assume una tonalità chiara di grigio e riflesso nel mare gli dà un colore freddo, che sembra evidenziare quanto gelida dev’essere l’acqua della baia. E il tempo sembra ricordarci ciò che stiamo per visitare, una prigione, la più famosa del mondo: un sole splendente su un mare azzurrissimo sarebbe stato inadatto alla nostra meta. 


Il Golden Gate Bridge, già avvolto nella nebbia alle 9:00


Mentre il mare si infrange contro la prua creando due scie schiumose lungo i lati dell’imbarcazione, l’isola si avvicina e si presenta a noi in tutta la durezza del suo rilievo, a picco sul mare: la terra brulla e la roccia sono chiazzate da cespugli verdi e sulla sua sommità fa capolino il faro, la cui luce ha illuminato il nostro cammino la scorsa notte, con alle spalle l’edificio principale, quello della prigione. Volgendo lo sguardo in direzione opposta, la vista verso la città, sempre più piccola e lontana, è parecchio suggestiva, con lo skyline che sfuma nelle nuvole.


Anche lo skyline di San Francisco è avvolto dalle nubi

Siamo abbastanza vicini per riuscire a leggere un grosso cartello presente sull’isola, rivolto verso il mare a chi la sta raggiungendo: è un avviso ai visitatori che ricorda che chi aiuta i prigionieri a fuggire o nasconde la loro fuga è oggetto di azioni penali che possono portare all’incarcerazione. Ci siamo ormai lasciati alle spalle il rumore della città e man mano che ci avviciniamo all’isola anche il rumore dei motori del traghetto sembra affievolirsi, fino a sparire, sommerso dal suono del mare e dai garriti dei gabbiani che volano sopra le nostre teste. In poco tempo siamo completamente avvolti dall’atmosfera che emana quest’isola e la sua storia: la visita di Alcatraz è fatta così, ricca di sensazione, impressioni, emozioni, difficile da raccontare a parole o con foto, è un'esperienza da vivere, che riesce a coinvolgere in un modo del tutto inaspettato. 

A pochi minuti dall'approdo sull'isola

Continuiamo ad avanzare e dietro una macchia di alberi sulla destra fa capolino un grosso edificio, il Building 64, costruito per ospitare i militari con le loro famiglie, che vivevano anch’esse sull’isola, e, subito dopo il piccolo molo, appare la torre di guardia, al cui interno si arrampica una stretta scala a chiocciola. Ancora più a destra si scorge la torre dell’acqua, purtroppo avvolta da impalcature perché in manutenzione e, oltre un edificio in rovina, la ciminiera della Power House, la centrale che dava energia all’isola. Mentre stiamo approdando, un altro cartello storico ci ricorda che l’isola ospita un penitenziario degli Stati Uniti, le barche devono stare ad almeno 200 iarde di distanza e che a nessuno è consentito di scendere a terra senza permesso. Noi il “permesso” ce l’abbiamo, perciò lasciamo la nave e ci aggreghiamo alla piccola folla che sta popolando lo spiazzo di fronte al porto: ci siamo, abbiamo messo piede sull’isola di Alcatraz.

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